La gastronomia

La cultura alimentare: non solo prosciutto…
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La scarsità di prodotti agricoli locali, determinata dal clima e dalle caratteristiche del territorio, ha condizionato le abitudini alimentari, dando luogo ad una cucina basata su pochi piatti, poveri negli ingredienti, ma sostanziosi, adatti ai lavori pesanti e ai ritmi intensi ai quali le persone erano sottoposte per diversi mesi all’anno.
Le massaie avevano a disposizione alcuni cereali “minori” (orzo, segale), il grano saraceno, il latte e i suoi derivati, la carne degli animali domestici, la selvaggina, le erbe selvatiche e le verdure dell’orto, le rape, il cavolo cappuccio, la fava.

Alcuni di questi prodotti costituivano anche un’importante merce di scambio: prosciutto, burro, formaggio, khraut venivano barattati con sale, grano e mais, fagioli, frutta. Per questo il burro e il formaggio apparivano sulla tavola solo in occasioni molto particolari (lavori pesanti, malattie, nascite, matrimoni, funerali, grandi festività) e con parsimonia. Frequente era, invece, il consumo di un particolare tipo di formaggio conservato in salamoia (samöriakhase). Quotidiano era l’uso della ricotta, che per essere conservata veniva affumicata o fermentata.
Il metodo dell’affumicatura, utilizzato soprattutto per la conservazione delle carni, quasi certamente fu introdotto a Sauris con i primi coloni. Oggi Sauris è sinonimo di prosciutto crudo affumicato, ma dalla carne di maiale si ottenevano anche lardo, pancetta, salsicce, sanguinacci, lo strutto da utilizzare come condimento.

I piatti
De spaisn

La cucina tradizionale saurana si basa sui pochi prodotti locali, integrati con quelli di importazione. Con questi ingredienti le donne saurane preparavano pochi semplici piatti, forse un po’ ripetitivi, ma non per questo meno gustosi, cucinati ancora oggi in diverse famiglie e riproposti con qualche variazione dai ristoratori locali.
Ogni mattina si mangiava il mues, una polentina molle di farina di mais o grano saraceno, latte e acqua, servita in una scodella e mangiata assieme al latte.
Il mues poteva costituire anche il piatto serale; in questo caso vi si cospargeva sopra della ricotta affumicata grattugiata oppure salsiccia o kraipn (cicciole) e strutto fatto sfrigolare. Oggi lo strutto viene in genere sostituito dal burro.
Altri piatti a base di farinacei erano la preinsuppe, una zuppa di farina abbrustolita nel grasso, a cui venivano aggiunti acqua e latte, consumata insieme a patate, pane o avanzi di polenta; le nudln, grossolane tagliatelle condite con grasso di maiale o di pecora e ricotta affumicata; la minestra di acqua e latte con riso o pfornsaufn (un impasto di acqua e farina sbriciolato sfregandolo tra le mani).

Le minestre potevano essere a base di orzo (gerstesupe) o crauti (khrautjöta) con l’aggiunta di fave o di fagioli. In primavera venivano utilizzate le erbe spontanee, come l’ortica (preineisl), lo spinacio selvatico o buon enrico (hauslebeslan), la silene (khere), ancora oggi molto utilizzate per minestre, gnocchi, frittate. Un’altra erba spontanea mangiata sia cruda che cotta è il tarassaco (tala).
Anche gli gnocchi venivano fatti con ciò che c’era a disposizione in quel momento: patate (gartufelanjoks), pane raffermo (proatnjoks) o erbe selvatiche (griena njoks).
La carne che arrivava in tavola era soprattutto di pecora, di maiale e di selvaggina, consumata sotto forma di insaccati (salsicce e salumi vari) o spezzatino. Il dùnkhatle o vlaischdùnkhatle è un intingolo di carne, mangiato assieme alla polenta. Un’alternativa è lo schötedùnkhatle, intingolo di ricotta affumicata, farina, acqua e latte.
Tra i latticini, essendo il burro e parte del formaggio riservati alla vendita o al baratto, venivano consumati soprattutto il formaggio salato (samöriakhase) e la ricotta (schöte), accompagnati in genere dalle patate. La ricotta, oltre che affumicata, poteva essere fermentata (zigerschöte).

I cavoli cappucci e il khraut
De kheipflan unt ’s khraut

Il cavolo cappuccio aveva un’importanza fondamentale nell’alimentazione saurana. Oltre ad essere mangiato fresco, poteva essere conservato con il metodo della fermentazione, ottenendo un prodotto (khraut) che poteva essere consumato durante i mesi invernali, nonché barattato per avere in cambio fagioli o frutta.
Per fare il khraut si affettano i cappucci con un apposito attrezzo (scherbaisn) in un grande mastello di legno (khrautschof), vi si aggiunge acqua, si copre il tutto con le foglie esterne e con un coperchio di legno opportunamente sagomato, sul quale vengono appoggiate delle pietre per esercitare una pressione. All’occorrenza si toglie la schiuma che si forma in superficie e si aggiunge acqua. Verso Natale – inizio anno il khraut è pronto per essere consumato.
Sia i cappucci freschi che il khraut vengono ancora cucinati secondo la ricetta tradizionale. I primi vengono affettati, messi in una terrina, salati e pepati. In una padellina si fa soffriggere pancetta o lardo tagliati a cubetti, ai quali si aggiunge aceto (una volta si usava la sairat, siero inacidito) e si versa il tutto, bollente, sui cappucci.
Il khraut viene sciacquato per eliminarne l’acidità e fatto cuocere per un paio d’ore in una pentola con acqua, aglio tritato e carne di maiale affumicata (pancetta o cotechino). A parte si fa soffriggere nell’olio o nello strutto un po’ di farina e si versa il tutto sul khraut, si aggiunge sale e pepe e si lascia cuocere ancora per una mezz’ora.